lunedì 3 settembre 2007

Motociclismo / Motociclette / Ducati / SD 900 Darmah




Tanti, tanti anni fa... feci un giro su una moto di un conoscente. Esteticamente era favolosa, rossa fiammante, ma era "solo" 350 di cilindrata (all'epoca ero un orgogliosissimo possessore di un Guzzi V50 Monza).
L'esperienza cambiò per sempre la mia "vita motociclistica": era, credo, una Ducati 350 Junior.
Andava come una bestia arrabbiata ed al confronto la mia Monza sembrava un giocattolo.
Oltre la ciclistica nettamente più performante, quello che colpiva maggiormente era la "risposta" all'acceleratore: un fulmine. A questo contribuiva non poco l'acceleratore "rapido" di Ducati, ma sicuramente determinante era la famosa distribuzione desmodromica.
Non parliamo poi del confronto con l'asmatico Guzzi, che richiedeva un giro completo di polso per andare "a manetta"...
Inutile dire che quando un amico mi propose una Ducati, di ben altro blasone (una spalla lussata lo obbligava ad assetti meno caricati sui polsi), feci "di tutto" per accaparrarmela.
La moto si chiamava SD 900 "Darmah", ed era una evoluzione, deratata, della mitica SS 900.
La Ducati ebbe all'epoca il coraggio di proporla come moto turistica... !
La potenza, ma sopratutto la coppia, di questa moto era veramente infernale. Persino per una ciclistica italiana, era veramente impegnativa e difficile da portare al limite, anche se un paradiso confrontata alle giapponesi dell'epoca, o alle mastodontiche Laverda.
La moto era visibilmente snobbata dai Ducatisti doc, come saranno snobbate più in là le Paso e le ST, in quanto non aveva "versato il sangue" nelle competizioni.
A me appariva la moto definitiva: era bella (anche se adesso l'estetica è invecchiata più delle coetanee sportive SS, MH et c.), era potentissima, e ci potevo andare "comodamente" (per gli standard di allora...) in giro in due.
In più Ducati non aveva ancora "ceduto" all'avviamento elettrico: come compromesso aveva montato un simbolico motorino di avviamento, che in pratica permetteva un singolo tentativo (a caldo...). Dopodichè si tornava alla pedivella.
La cosa mi affascinava, perchè all'epoca essere dipendenti dalla batteria era veramente un problema, e con questi mostri bicilindrici, l'avviamento a spinta si avvicinava molto ad un tentato suicidio... Imparai presto che l'avviamento elettrico era vitale per la salute della mia caviglia (che ancora portava i segni delle slogature firmate Scrambler...), e resi "argomento di fede" l'avviamento "al primo giro" (pistone alla massima compressione, frizione tirata, acceleratore chiuso, aria tirata et c.).
Con questa moto, per la prima volta, non potevo dare tutto gas in uscita di curva e poi parzializzare a regime: non credo che si sarebbe impennata (era pesantissima e tutta caricata sull'anteriore), ma sicuramente non sarei stato in grado di controllarla, se non in rettilineo. Inoltre le sbacchettate erano sempre in agguato.
Probabilmente (la moto era già molto vissuta) non era veramente a punto, ma credo che le forcelle e le gomme dell'epoca in generale non fossero all'altezza.
Dovevo DOSARE l'acceleratore (una cosa impensabile, ma sopratutto inutile, sulla mia 2T), e avevo sempre un enorme margine di riserva, beninteso rispetto alle mie capacità di guida.
Naturalmente c'era chi le portava al limite, e penso che su strada le SS fossero imbattibili dalle potentissime, ma incontrollabili, giapponesi (sopratutto le assurde Kawasaki Z a tre cilindri due tempi).
Forte della mia esperienza di manutenzione di una moto "convenzionale" come la Monza (aste e bilanceri...), la gestione del "mostro" fu abbastanza uno shock.
La sola carburazione richiedeva arti magiche: la miscela andava impostata non tanto per il massimo rendimento da fermo, quanto per garantire un decente raffreddamento del cilindro posteriore in marcia; questo obbligava a continue "prove su strada" per verificare i diversi settaggi.
La testa poi era off limits: di "Lei" si raccontavano storie mitiche, di meccanici in camera sterile che con spessori micrometrici taravano le camme della distribuzione...
Anche le sollecitazioni "estreme" (sopratutto in tema di vibrazioni) richiedevano una manutenzione assidua: ricordo che spesso e volentieri saltava uno dei bulloni di fissaggio della corona, nonostante fossi passato dai bulloni 8.8 a dei bulloni speciali ad alta resistenza.
Si diceva che fosse normale...
Il culmine della carriera lo raggiunse dopo una revisione completa: uscii dall'officina raggiante, la moto era perfetta, le gomme nuove, e il giorno dopo ero nuovamente in partenza per le vacanze estive.
Presi il lungotevere per tornare a casa: a un certo punto c'era una piccola fila per svoltare a sinistra; la ignorai andando dritto. Sfortuna volle che in quel punto e in quel momento transitasse una pazza (senza patente e su una macchina di incerta proprietà) che spuntando da dietro la fila mi colpì "al traverso" a tutta velocità.
Io finii in ospedale in trazione per due mesi (dopo mi dissero che inizialmente volevano amputarmi la gamba), la Darmah rotolò nel Tevere...
Quando ritrovai il coraggio di recuperare il rottame, e dopo varie operazioni, mi decisi a donarlo ad un amico che cercava un telaio per andare in pista.
Ho il sospetto che da qualche parte ci sia una SS Mike Hailwood "originale" con quel telaio.
Chissa che fine ha fatto...

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